15 gennaio 2012

L'Arte dell'Avventura (5)


Comincia oggi la parte dell'Arte dell'Avventura dedicata alla Teoria della Narrativa Interattiva. Continuate a seguirci...

Appuntamento a Lunedì prossimo per un nuovo capitolo, buona lettura!



Le Avventure e la Realtà

Come ci avvicinammo a Gratiosa, il dieci di Settembre, quasi alla mezzanotte, scorgemmo un lungo e perfetto Arcobaleno creato dalla luce lunare, in tutto e per tutto simile ad un arcobaleno normale con la sola eccezione dei colori, erano più pallidi, e più inclini ai colori della fiamma di un fuoco.
— Arthur Gorges, marinaio della spedizione di Sir Walter Raleigh (1597)

“Spiegate perché esiste un modello del mondo all’interno del gioco dando consistenza al testo che presenterete al giocatore” (Thomas Nilsson, dal manuale di Alan). Vale la pena fare un passo indietro e comparare ‘Advent’ a ‘Zork’, l’alfa e l’omega dei giochi ambientati in mondi sotterranei [“l’alfa e l’omega” sono la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, cit. Apocalisse 1:8 N.d.T.]. 


‘Zork’ è meglio delinieato ed i suoi capitoli centrali (ora chiamati ‘Zork II’) sono tra quelli più finemente e meglio strutturati tra i giochi di narrativa interattiva. Mentre per tutti i suoi vicoli ciechi ed i canyon nascosti, ‘Advent’ è essenzialmente un lavoro migliore, più memorabile e con più atmosfera, dal momento che le sue radici affondano per lo più in esperienze reali. La mitologia di ‘Zork’ ha basi molto meno solide: la perduta dinastia dei Flathead, inizia con poche battute buttate qua e la, e finisce per essere piuttosto noiosa nei sequel successivi nel momento in cui la “leggenda dei Flatheads” divenne, di default, la caratteristica distintiva degli Zorchiani. Sebbene perfettamente realizzato, ‘Zork’ manca di autenticità.


I dibattiti più accesi in favore di un’ambientazione chiaramente fantastica sono spesso sostenuti da autori di giochi che non ne hanno una, e che sono meri miscugli surreali di elementi moderni e medievali. Solo pochi, come ‘Brand X’ di Peter Killworth e del maestro di scacchi Jonathan Mestel (1982: più tardi chiamato ‘Philosopher's Quest’), ne uscirono interi tra mille difficoltà. ‘Brand X’ manca di un titolo descrittivo – non vi sono strutture o una descrizione della trama – e l’apertura del gioco recita: “Non hai bisogno di istruzioni, pertanto non ne avrai.” Ma generalmente questi giochi sono indistinguibili gli uni dagli altri e sono stati semplicemente dimenticati.

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Ecco un esempio significativo ripreso da ‘The Hitchhiker's Guide To The Galaxy’ (Steve Meretzky e Douglas Adams, 1984):

Ford sbadigliò. “I trasferimenti mi stancano sempre. Farò un sonnellino.” Mise qualcosa sopra il suo zainetto. “Se hai delle domande, questa è La Guida Galattica per l’Autostoppista Spaziale” (Nota 14). Ford abbassò la sua voce ad un sussurro. “Non dovrei dirtelo, ma non sarai mai in grado di finire questo gioco senza consultare la Guida su molti argomenti.” Non appena si accucciò in un angolo cominciò a russare, raccogli la Guida dell’Autostoppista.

Perché Ford sente la necessità di abbassare la voce ad un bisbiglio? Chi non vorrebbe che Ford dicesse qualcosa del genere? Roger Giner-Sorolla tenta di affrontare l’argomento. Nel suo articolo Crimes Against Mimesis [crimini contro la mimesi, ne esiste una traduzione in italiano a cura di Francesco Cordella, è disponibile sul suo sito web “l’avventura è l’avventura”, NdT] dell’Aprile del 1996, mette sotto accusa il continuo ricorso a questo tipo di passaggi:

Considero la narrativa ben fatta un’imitazione, o una “mimesi”, della realtà, sia che si svolga in questo mondo che in un altro. La buona narrativa permette al lettore di entrare, temporaneamente, nella realtà di quel mondo e di crederci. Un crimine contro la mimesi consiste in ogni aspetto del gioco... che spezza la coerenza di questo mondo fittizio, di questa rappresentazione di una realtà.

Questa elegante polemica, postata su rec.arts.int-fiction, diede il mise au point [gli argomenti, NdT] per un dibattito che durò alcuni mesi sul gruppo . L’obiettivo non era tanto l’inciampo sulla mimesi in un passaggio come quello precedente, ma l’indebolimento della mimesi da parte di autori poco accorti. 



L’inserimento di oggetti fuori contesto o di personaggi privi di motivazioni, la collusione di generi per includere bizzarri anacronismi o l’uso di enigmi fuori contesto (come ad esempio un enigma che si basa sulla disposizione di mattoni per entrare un una cripta in rovina) sono tutti elementi problematici dal momento che evidenziano esattamente ciò che dovrebbe essere celato, ovvero che il gioco è una serie di enigmi da risolvere.


Da questo punto di vista ne dovrebbe conseguire che un gioco ha bisogno di un mondo narrativo coerente e che i suoi enigmi dovrebbero essere perfettamente associati alla struttura del testo, apparendo perfettamente naturali al giocatore.


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Il segreto del successo nella progettazione di uno scenario di fondo è l’originalità: una volta che l’avrete trovata, tutto seguirà naturalmente. Probabilmente la risorsa d’ispirazione più popolare è la vita reale, e per molti giochi la progettazione della struttura comincia con, e di tanto in tanto si interrompe con, la ricerca. 

Per inventare luoghi geografici si possono prendere quale utile riferimento le mappe di catene montuose, di valli, di fiumi e di grotte sotterranee reali, esse ci aiutano a ricordare che la geografia è contorta e continua – se un fiume passa attraverso una data locazione, deve contiuare altrove, e così via. 

(Ulteriori informazioni su questo aspetto possono essere trovate Nel DM4 §51. O anche in questo saggio:
https://sites.google.com/site/avventuretestuali/articoli-1/geografia-nella-narrativa-interattiva, NdT)

Per ‘Jigsaw’ (Graham Nelson, 1995), un gioco che contiene una rivisitazione della storia con tanto di salti temporali ed una macchina del tempo, il sottoscritto cominciò vagando tra i ripiani della Oxford County Library con le tasche piene di monete pronte per le fotocopiatrici, l’intenzione era copiare tutto ciò che sembrava interessante. M’imbattei tra le altre cose in una copia facsimile del fumetto del 1956 Eagle (era una visione dell’Impero Britannico al tempo di Suez nella narrativa per ragazzi), Il Giornale di Bordo della Apollo 17 nel suo soggiorno sulla Superficie Lunare (di Eric Jones, una superba risorsa anche su internet, ora ufficialmente adottata dalla NASA) e, per le sequenze del gioco ambientate nel 1900, feci riferimento all’eccellente film Century di Stephen Poliakoff.

Questo potrebbe suggerirvi che la ricerca fosse un po’ esagerata. Ecco Stu Gally, sulla scrittura del poliziesco alla Chandler ‘The Witness’ (1983):

Presto alla libreria del mio ufficio si aggiunse un vecchio catalogo Sears e una storia per immagini della pubblicità (per aiutarmi con l’arredamento della casa ed i vestiti dei personaggi), il Dizionario dello Slang Americano (per aggiungere colore al testo) e una enciclopedia a volumi del 1937 (per eliminare gli anacronismi).

E così andammo su per la strada di casa Linder per incontrare Monica, che aveva capelli scuri e mossi ed indossava una blusa alla marinara Rayon, abbronzata con il segno dei tacchi alla Cubana, e ci trattava come uno scaricatore di porto che le avesse fischiato dietro.

In un gioco che intende essere un po’ kitsch, tutta questa ricercatezza è divertente. In un lavoro più serio è molto lontana da un punto di equilibrio.


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I giochi che adattano i romanzi alla narrativa interattiva presentano due ordini di problemi. Ne sono stati realizzati molti tra cui: Gateway di Frederik Pohl, un capolavoro della fantascenza “hard”, e i libri di J. R. R. Tolkien, Terry Pratchett e Enid Blyton hanno tutti prestato i loro vasti mondi immaginari. Ma in ogni caso dietro permesso.

I diritti d’autore sono il primo problema. Anche se non vi è scambio di denaro, essi durano da cinquanta a settantacinque anni (a seconda della giurisdizione) dopo la morte dell’autore o del suo coniuge. Vi sono racconti del diciannovesimo secolo che sono ancora soggetti al diritto d’autore e molti personaggi che sono stati oggetto di commercializzazione hanno tutele anche maggiori. Alcune proprietà letterarie, come Tintin ad esempio, sono ampiamente protette, e i gestori dei diritti dei libri di “Dragon” di Anne McCaffrey's o del marchio di Star Trek della Paramount sono molto severi nella ricerca di qualsiasi abuso alla loro proprietà da parte di autori su internet: anche comprensibilmente in questo secondo caso, dal momento che una iniziativa di Marion Zimmer Bradley nell’autorizzare della fan fiction terminò in un sgradevole controversia legale. 


Il gioco per Commodore 64 ‘HitchHiker-64’ (Bob Chappell, 1984), un lavoro non autorizzato basato in modo approssimativo sulla commedia di Douglas Adams fu frettolosamente riscritto con il titolo di ‘Cosmic Capers’, con la Ravenous Bugblatter Beast of Traal trasformata nella meno soddisfacente Barbaric Binge Beast of Bongo.

Il secondo problema è che, in ogni caso, una trama diretta e lineare non funziona come un gioco d’avventura e un romanzo è normalmente troppo lungo per un gioco, proprio come accade per i film: entrambi sono vicini a una sintesi di un racconto. 

Dave Lebling reputò ‘Shogun’ (1989), una versione autorizzata del racconto epico di James Clavell, il peggiore non solo dei suoi giochi ma di tutti quelli della Infocom. (Graeme Cree: “Troppo spesso la storia sembra andare per conto suo mentre ottenete punti inutili per aver sorriso, annuito, e per esservi inchinati al momento giusto.” Torbjörn Andersson: “Non vi fa mai allontanare dal percorso preordinato della storia, come se fosse una visita guidata per bambini”.) 

‘Sherlock’ (Bob Bates, 1987) fu invece un enorme successo, non perché Conan Doyle sia più interessante – sebbene lo sia vista la sua popolarità, anche se Bates esagerò con lo humour – ma perché il gioco era una buona fusione di più lavori e non un semplice adattamento. Lo stesso può essere detto di ‘Wonderland’ (David Bishop, 1990), uno dei pochi giochi basati sul personaggio di Alice che non segue il testo. 

‘The Tempest’ di Shakespeare è stato adattato alla narrativa interattiva almeno due volte (David R. Grigg, 1992; Graham Nelson, 1997) ma la bellissima somma di strutture Shakespeariane di Jonathan Partington nel suo ‘Avon’ (1982), è più divertente di entrambe. Gli enigmi attraversano molte delle scene e si riconcorrono con ritmo incalzante, come il nascondere il cesto dei panni sporchi (The Merry Wives of Windsor) o il prendere in prestito tremila ducati (The Merchant of Venice); un consiglio di non mangiate la mela di Titus Andronicus.



BIBLIOGRAFIA

Il dualismo tra la simulazione dal finale aperto e la narrativa ha sempre animato le discussioni. I tre fogli di David Graves Second Generation Adventure Games (J. di Computer Game Design, 1987) dicono poco al riguardo. Gerry Kevin Wilson osserva che “I minimalisti sostengono che i giochi dovrebbero essere una esperienza fatta di esplorazione e simulazione. Vorrebbero essere in grado di cominciare la trama e poterla mettere da parte in qualsiasi momento lo desiderano. E’ mia opinione che siano persone molto pericolose.” Mike Roberts, nell’appendice a The TADS Author's Manual, scrive: “I giochi d’Avventura hanno tutti un problema sostanziale: tutti pretendono di essere ciò che non sono... le avventure sono simulazioni. Sfortunatamente, la maggior parte delle avventure rivendicano di essere simulazioni del mondo reale... La chiave è quella di scegliere un universo piccolo, che possiate modellare completamente.” Sviluppò questa sua idea di auto-limitazione suggerendo che la progettazione si dovesse concentrare su di un singolo uso importante per ogni oggetto, lasciando che le connessioni meno importanti fossero aggiunte solo successivamente a che l’uso principale fosse stato scoperto.


Parodiato dal gioco di Adam Thornton ‘Sins Against Mimesis’ (1997).

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