19 dicembre 2011

L'Arte dell'Avventura (1)


Comincia oggi un percorso che vedrà la pubblicazione, spero settimanale, della traduzione di The Craft of Adventure un saggio scritto da Graham Nelson, ovvero l'autore di Inform - il celebre linguaggio di programmazione dedicato alle avventure testuali in stile Infocom. The Craft of Adventure, costituisce anche l'ottavo capitolo del DM4 e copre gli aspetti letterari, storiografici e teorici della Narrativa Interattiva. 

Era diverso tempo che pensavo di cominciarne la traduzione in italiano, ma è un saggio piuttosto lungo e pieno di riferimenti, il che mi aveva sempre scoraggiato. Vorrei quindi ringraziare Tristano Aimone per averne iniziato la traduzione, partendo dalle sue bozze (da cui traspare un impegno non indifferente) vorrei qui terminarne il lavoro.

Pubblicherò i paragrafi tematici costituenti il saggio separatamente, e poi concluso il lavoro metterò a disposizione una versione completa in formato PDF. 

Perché pubblicare i paragrafi separatamente su queste pagine? Perché si tratta di un lavoro lungo e complesso, e mi piacerebbe che qualcuno dei lettori di questo blog segnalasse eventuali errori ed incongruenze in modo di avere alla fine il prodotto migliore possibile.

Cominciamo con la prima parte, buona lettura:

L’Arte dell’Avventura


La programmazione di avventure richiede la medesima abilità e lo stesso talento d'ogni altra arte. La storia, la struttura del gioco, la programmazione, la qualità delle “finiture”, sono tutti elementi valutati ed apprezzati dai giocatori. 

L’arte del gioco d’avventura si è sviluppata moltissimo negli anni da quando ci è stata trasmessa dai nostri predecessori. L’embrione di ‘Zork’ (Tim Anderson, Marc Blank, Bruce Daniels, Dave Lebling, 1977) – incasinato, improvvisato e spesso sleale – è stata messo assieme disordinatamente in un paio di settimane di tempo libero. ‘Trinity’ (Brian Moriarty, 1986), pianificata in una sinossi nel 1984, richiese ben tredici mesi di progettazione, programmazione e test.

‘Spellbreaker’ (Dave Lebli
ng, 1985) è un esempio di questa evoluzione. E’ un gioco di prima scelta, che alzò la soglia dello stato dell’arte permettendo addirittura al giocatore di dare nomi agli oggetti. Pur facendo parte di una trilogia, di cui costituisce una degna conclusione, è un lavoro che si regge sui propri meriti. E’ un gioco corposo, con più contenuto in ogni singola locazione di quanto ci fosse mai stato prima, e con una struttura che si rivela con successo man mano che si sviluppa la trama: da inesplicabile all’inizio diventa inevitabile non appena la si approfondisce. Nasconde ingegnosi riferimenti alla teoria delle stringhe ed a Le Rane di Aristofane, era un gioco molto più profondo di quanto apparisse. Ma era anche difficile, all’inizio sconcertante, e ricompensava gli sforzi dei giocatori un po’ troppo tardi. Ciò che manteneva l’interesse del giocatore sull’avventura erano il “ciclopico blocco di pietra”, la “voce di miele e cenere” (voice of honey and ashes), e i personaggi che inaspettatamente ti sorprendevano dicendo cose come “Tu insulti me, e insulti anche il mio cane!”. E’ scritto in modo pulito, un testo asciutto è quasi sempre più efficace di un sermone divagante, e molte delle descrizioni delle locazioni in ‘Spellbreaker’ sono ben costruite:


Capanna di fango
E’ una piccola stanza costruita semplicemente con fango, terra e zolle. Grossolane aperture quadrate sostenute da pali di legno legati con lacci di cuoio puntano nella quattro direzioni cardinali, ed un buco in terra conduce verso il basso.

In poche parole, (in quello che era il settimo titolo di Lebling) venivano innalzati i limiti della difficoltà e delle possibili connessioni in maniera magistrale.

Classici come ‘Spellbreaker’ hanno avuto una grande influenza ed hanno conservato la loro giocabilità ben oltre qualsiasi aspettativa: ‘Zork II’, per esempio, è rimasto in vendita sugli scaffali fin dal 1981, un record eguagliato soli da un paio di dozzine dei romanzi di quell’anno. Ma la storia della narrativa interattiva non è solo la storia delle aziende di produzione come la Infocom, Inc. , etc...

Molte centinaia di spettacoli teatrali venivano messi in scena nel tardo sedicesimo secolo a Londra, ma oggi solo le tre dozzine di Shakespeare ci sono familiari, anche il più debole di essi è stato protetto dall’abbandono solo per il fatto di essere considerato un classico. L’attenzione concessagli potrebbe essere giustificata valutandolo su basi letterarie, ma forse non dal punto di vista storico, dal momento che costituisce un’immagine completamente diversa da ciò che consuma il pubblico contemporaneo. Lo stesso vale per la Infocom. Molti dei giocatori di avventure degli anni ‘80 raramente hanno giocato i loro giochi, se non molti anni dopo. La loro reale importanza, al di là della qualità e della loro popolarità, è che hanno costituito un fondamento, nello stesso modo in cui gli albi pre-guerra di Tintin di Hergé svilupparono la grammatica visiva del fumetto Europeo, dalle regole del formato per i baloon dei dialoghi a come dovevano essere rappresentati i pannelli per le scene d’azione.

Tintin e il suo cane Snowy camminavano da sinistra a destra (la direzione delle lettura) quando facevano un progresso e da destra a sinistra se subivano una battuta d’arresto. Snowy perse prima l’abilità di parlare, e quindi l’abilità di capire i discorsi di Tintin. La Infocom ebbe un effetto simile nel gettare le basi delle meccaniche di gioco della narrativa interattiva, ovvero le convenzioni che vengono subliminalmente accettate dai giocatori (e silenziosamente perpetuate da Inform). Per esempio, erano i giochi della Infocom del 1986 che cominciarono ad usare le oramai familiari citazioni letterarie quale stile di commento o come segnalibro, uno sviluppo che potrebbe essere comparato al punto esclamativo che appare sopra la testa di un personaggio sorpreso in Tintin.

Le meccaniche della lettura di un racconto sono praticamente inconsce, ma le meccaniche della narrativa interattiva sono anche meno che familiari, è un medium particolare che non perdona. Un errore tecnico fatto da un romanziere, diciamo alternare dei dialoghi per così tanto tempo che diventa poco chiaro chi stia parlando, non rende impossibile al lettore continuare, come se le ultime cento pagine del libro fossero state incollate assieme. 

L’autore di narrativa interattiva invece deve preoccuparsi continuamente dell’ordine in cui si susseguono gli eventi, del livello di difficoltà, del ritmo con cui vengono date nuove informazioni al giocatore e così via. Nel contempo, anche i passi dell’autore sembrano incerti, per la forma stessa del medium si finisce sempre per oscillare su scelte di compromesso.

La narrativa interattiva non è un libro gioco per bambini, con un labirinto in una pagina ed un rebus nella successiva, né un racconto. Non è pura interazione né pura finzione letteraria, giace in una via di mezzo, una terra ancora largamente inesplorata.


RIFERIMENTI
In questo saggio, i giochi sono citati indicando l’autore e la data quando menzionati la prima volta, successivamente viene riportato solo il titolo. I dettagli delle pagine di dove sono citati nel DM4 sono indicati nella  bibliografia dei lavori citati.   Citazioni non attribuite dagli autori della Infocom possono essere trovate nell’archivio ftp.gmd.de, nella sezione articoli del 1980. La mia scelta delle citazioni è dipesa dalla loro reperibilità: Lebling è citato frequentemente non perché fosse un grande autore (sebbene lo fosse) ma perché è stato spesso intervistato. Marc Blank, tra le altre figure di rilievo, dedicò meno tempo ad intrattenere la stampa. Alcune migliaia di messaggi email interni della Infocom (1982–) sono stati conservati e sono arrivati a noi. Ad eccezione degli ultimi tempi l’impressione generale è quella di un posto di lavoro a dimensione umana con alcuni momenti commoventi, ed un gran numero di figure di spicco che lavoravano nell’ombra. Molto di questo materiale difficilmente diventerà pubblico a causa della sua natura personale. Per rispetto a questo principio, non ho citato nulla direttamente dalle email non pubblicate e ho evitato di attribuire specifiche opinioni a persone precise. Ho citato alcune utili ed innocue email dal disco pubblicato dalla Activision Masterpieces of Infocom, ma notate che queste sono spogliate di ogni contesto. Per esempio la più interessante, una memo del 1987, verte su quale via seguire per i prossimi giochi testuali (discussa brevemente nel paragrafo successivo dedicato alla Struttura), non è come sembra una minuta di un committente, ma è stata scritta come lettera di scuse verso due persone offese per essere state escluse da un incontro informale sulla crisi, ho cercato di mantenere segrete le premesse. Un esempio più felice è uno sketch scritto da Stu Galley in risposta ad una circolare che chiedeva la descrizione di un lavoro: ne è uscito fuori quello che viene chiamato “credo” dell’implementatore. Malgrado lo stile - il cinquanta percento sono affermazioni della missione aziendale, il restante cinquanta percento sembrano frasi di Martin Luther King - questo manifesto è degno di essere letto, dal momento che rende coscienti i dipendenti della Infocom di lavorare in un medium sperimentale ed artistico: “Sto esplorando un nuovo mezzo di raccontare storie. I miei lettori dovrebbero essere immersi nella storia e dimenticare chi siano. Dovrebbero dimenticarsi della tastiera e dello schermo, dimenticare ogni cosa ad eccezione dell’esperienza. Il mio obiettivo è rendere il computer invisibile... Nessuno dei miei obiettivi è facile. Ma tutti necessitano di duro lavoro. Non lasciate che nessuno dubiti dalla mia dedizione alla mia arte.” Un’altro vero credente era Cleveland M. Blakemore, nel suo trattato nel numero 54 della rivista Ahoy! scrive: “Ogni essere umano sulla terra è una dinamo naturale di energia creativa. Imparare ad aprire i rubinetti di questa energia e tradurli in un libro, una tela, o una memoria di un computer, è un’abilità che può essere imparata.”



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